lunedì 27 giugno 2016


ACNATS

Un tempo adoravo essere guardata. Sentivo i tuoi occhi sul collo, sulla schiena, vertebra per vertebra. Il tuo desiderio risuonare come monetine, una sopra l’altra. Mi bagnavo di assenza e gli occhi sulla mia pelle erano dita, matite, colori. Erano linee che si intrecciavano, come edera, come foglie di acanto, come radici, come sbuffi di nuvole, come sabbia che graffia.  Donna come la terra, mi sorprendevo a sentirmi vestita di primavere sconosciute e di mille bufere, tagli come aghi di pino nel vento, o cera calda ed impudica. Brucia il ricordo. Alcuni istanti ed è per sempre. E danno la misura del mio essere sbagliata, della perversione che mi tagliava i polsi, del delirio di cui cospargevo le labbra. Ma tu potevi solo immaginarlo. Supplice come una corolla mi piegavo nel vento. Sentire troppo e confuso era come non sentire. E smettere di essere. Ed è sempre stato strano il rapporto con le emozioni. Come prima di ogni apnea. Un salto nel vuoto, forse nel buio, in un nulla confortevole, dove smettere di farsi domande. Un tempo io adoravo essere guardata, quasi ti supplicavo di farlo, e di farlo ancora. Ma poi ho smesso. Mi sono voltata. Perché ho imparato a guardare nel buio. E come una gatta attraverso le mie notti. Le riempio di significati segreti, misteriosi, in attesa del nuovo giorno. E del suo divaricarsi nel suo incessante ed implacabile divenire.
La voglia di vita si annida inaspettata ovunque e ti sorprende. Rotola, scivola, lacrima, dopo lacrima. Come una collana di perle spezzata.
Una benda.
Una luna impiccata, tenera e sincera.
Ero quello.

1 commento:

  1. tutti siamo stanchi dopo anni di vita...e non credo che guardare nel buio dia più forza che voltarsi....e cercare chi ha fatto parte della nostra vita, regalandoci un pò della sua...

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