lunedì 27 giugno 2016


CORSI E RICORSI…

Il dolore libera.  Ci sbatte contro di noi. Al margine estremo della nostra verità. Forse è quella la sagoma dei nostri sogni. O solo della nostra identità più sfacciata. Ombra e luce, buio e chiaro, fantasmi e vita nuova. Non mi sono mai sentita più piena di rosso del momento in cui ho osato. Era tutto rosso, rosso il fiato ed il mio sguardo, rossa la coscienza e la mente. A volte incroci passi e segni che ti riportano inaspettatamente indietro. Balzi in un tempo che è fatto solo di respiri. Dove non ci sono lancette. Una nota storta, spezzata, come il pane strappato per strada. Mia nonna lo raccoglieva e lo baciava. Memorie della sabbia e del sangue.  Adesso sono dentro, come strati di me stessa. Giugno è un mese che ho sempre amato. Mi fa pensare alla sabbia calda sull’asfalto. Ed alla salsedine sulle spalle.  Mi infilavo nel mare e sentivo solo l’acqua addosso, sulla schiena, ed il sole avanti, mentre bucavo il suo dorso. Il mese in cui ho vissuto le cose più belle della mia vita. In cui alcuni desideri segreti si sono avverati, quasi srotolati sotto il cuore. Sino a riempirmi l’anima, gli occhi e la bocca. Il mese in cui sono nata. E già li rivedo, tutti e due, con la loro bambina, cioè io, un poco imbranati ma così felici ed innamorati. Lo erano, sì che lo erano. Tutto questo mi fa sorridere e mi stringe il cuore, come una pinza.  Il dolore sminuzza, sfrangia, leviga. Sembra banale, ma rende forti. Mentre una amica ti racconta i suoi giorni, le leggi l’anima e senti. Una amica sente sempre oltre le parole. E raccoglie. E ricorda. Ricorda il bene. Il male riaffiora solo come sangue infetto e brucia come una ferita purulenta, come il fiato sul suo bordo. Ma è solo un vettore, di altro. Un gancio di qualcosa di irrisolto che cerca dannatamente la sua forma. Se per un attimo il vento spazzasse via tutto, resterebbe solo il bene. Ne sono sicura. Tu mi hai insegnato che parla più l’assenza che la presenza, andando via. Allora era giugno. Ed è per questo che io ho così paura di essere abbandonata. E le mie dita non smettono di cercare parole capaci di spiegare. Mentre sarebbe così facile limitarsi a respirare. Perché il vento del mondo in noi diventa fiato e poi vita.
Ho un nuovo segno.
Ed ogni segno è una battaglia.
Da vincere.
O già vinta.
Abbracciami senza parlarmi. E annusa tutto il silenzio di cui sono fatta. Perché in quello che non dico c’è più di me di quanto sia possibile immaginare. Sono fatta di dolore e di gioia. Forse in maniera non pari. Insolente ed ingorda la bellezza. Quasi come il mal di vivere.
Lati estremi dello stesso specchio.
Perché non mi guardi per davvero? Ho paura dei tuoi occhi.  Una paura tremenda, densa, corposa, quasi un pugno. Ma per un istante vorrei tu lo facessi. Come voglio tutto quello che so può farmi male, ma che è inevitabile. E faccio le cose anche se so che procureranno dolore. Agli altri ed a me. E le faccio, ostinatamente le faccio. Come se la solitudine e la verità siano la misura dell’essere se stessi. Perché ogni volta che rinneghiamo la vita, un pochino moriamo. I granelli si addensano e rotolano più veloci. E negli occhi degli altri ritroviamo un senso che non era smarrito ma solo dimenticato. E quel lato oscuro esiste e freme e si sporge e si lascia intravedere. Come il verme nella mela. Io non ho altro che questa mente. Eppure a volte vorrei saper mentire. Perché sono sincera con tutti. Tranne che con me stessa. E vorrei saper lasciare andare via tutti.
Adesso, raccontami una favola…sapessi che bisogno che ne ho…

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