lunedì 27 giugno 2016

BUCO NERO

E così precipiti nella tua voglia di silenzio, che a volte è fatto di molte parole.  Vuoto di tutto, sassi nelle tasche, la voglia di lanciarli, dentro e contro il mare. Forte, fortissimo. Da piccoli andavamo a “pietrisciare”. “Vieni a pietrisciare con me” – la mia amica mi sorrideva. E sulla spiaggia di sassi, nei pomeriggi di settembre – quelli che sembrano infiniti, perchè il sole non tramonta mai, anche se tutto si riempie di ombre – parlavamo per ore. Sul mio mare il sole sorge solo, e ricopre la fatica dei campi e della sua gente, ma muore di spalle, sempre, inderogabilmente. E ci raccontavamo. E giri nella macchina. La sua vita a Roma, piena di sogni e di amori complicati. La mia vita ai tempi del colera, lo studio, il mio grande amore per lui, i miei conflitti con mia madre, i miei problemi con il cibo. Così siamo diventate amiche. Viaggi a Roma, in giro nella notte, musei e passeggiate, con la pioggia e con il sole. Andavamo a Villa Torlonia, sempre io e lei, mentre le altre stavano all’università. Una lunga storia di amicizia la nostra.  Di baci e di lacrime. Spezzatasi poi all’improvviso, perchè la vita divide. Anche allora molte parole e poco silenzio. Io sono così, vado via sempre preavviso, quando sento che è il tempo di farlo. Avevamo il compleanno nello stesso giorno. E per anni ci siamo fatte gli auguri. Adesso la incontro e ci salutiamo velocemente, ma con affetto. Lei sa, io so. Ci ritroviamo infilzate nel nostro passato per qualche istante. Siamo donne dure, apparentemente fragili, ma con il cuore fermo. Una volta per caso ci siamo viste. “Ti chiamo“. ““. Ed il pomeriggio dopo leggevo le sue lacrime silenziose e la sua voglia di parlare, di gridare tutto lo sdegno, la dignità e l’orgoglio ferito. Di fronte al dolore di altre donne, ma credo di tutti gli esseri umani, ognuno può solo rispettarlo, come si rispetta ciò che conta, con un abbraccio forte e sincero, spesso silenzioso. Adesso lei vive lontana, torna solo d’estate, come spesso fanno i figli di questa terra ingrata. Pensavo a lei, perchè ho pensato alle mie amiche, alle poche vere grandi amiche che ho avuto e che ho amato e che amo e che non smetterò mai di amare.  Alcune vicine, altre lontanissime. Cercavo, oggi, di capire se in me c’è del buono, e forse l’amicizia data e ricevuta, con gli eccessi di cui sono capace, è una cosa buona. Forse una delle poche. Io sono meglio negli errori. Perchè sono un’anima tormentata che riesce a ritrovarsi ed essere una, ed una sola, solo per qualche istante, nei suoi contrasti, quando le due parti si riavvicinano ancora. Prima di riprecipitare nella solitudine che non è oblìo. E neanche vuoto. Ma solo quella voglia sincera di nuove linee di orizzonti. Difficile da descrivere, perchè solo se la hai provata, sai di cosa si tratta. Si tratta di uno strano mood che a tratti diventa quasi solido, prende vita e corpo e ti riempie il respiro. La voglia di allontanarti, di non esistere, di ritrovarti altrove e migliore. Poi passa, perchè io sono meglio quando sono sbagliata, piuttosto che quando sono esatta. E mi piacerebbe che qualcuno sapesse capire, leggere, comprendere, trovare la parole sbagliata nella frase giusta, o forse la parole giusta nella frase sbagliata.
Quasi in quello ci fosse un autentico frammento di innocenza.

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