Ai suoi piedi c'era una distesa. La osservava incerta. Non la stava studiando. Solo beffardamente ignorando. Avrebbe solo voluto capire, senza comprendere, se fosse lo stesso percorso. Non le sarebbe dispiaciuto. Solo voleva sapere.
E sapere di aver saputo.
Senza prevedere.
Solo dare una parvenza.
Affondare nei passi l'assenza.
Sentirne il risucchio e il fendersi dell'acqua.
Ripulire ogni traccia del passaggio.
Fino ad annusare l'odore.
Si sorrise dentro.
E sentii calore.
Come sotto una coperta.
Sulla nuca contro il cuscino.
E tra le labbra contro un muro di respiro.
Abbiamo una luce dentro di noi.
E ci riscalda anche nel gelo.
Ci riempie di piccole fitte di calore.
Piccoli pizzichi di vita.
E le sbattiamo in faccia le palpebre.
Strappiamo le pupille.
E le nascondiamo nel buio.
In fondo la vita è un gioco tra luce e buio.
Ho afferrato un raggio e lo sto intrecciando alle dita.
Non so più spiegare.
Urlo al mondo cose senza senso.
Astratte.
E tengo i dettagli dentro.
Fa male.
Perchè spiegare è donare spigoli.
E' levigare l'identità.
E poi ti punge dentro
vedere i tuoi pezzetti
svolazzare.
Come coriadoli strappati.
Non ci sono colpe. Non ci sono verità. Non ci sono sconfitte. Non ci sono mancanze. Non c'è null'altro che pezzi che si incastrano.
O il tentativo di incastrare pezzi non incastrabili.
E non so se fa più male l'urto.
Lo stridore dell'incastro imperfetto.
O il restare mancante di una parte.
E tremo di lucida incoscienza.
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