domenica 23 maggio 2010

Mi guardi le labbra e attendi. Placido e dondolante. In una tenera attesa. Mi guardi negli occhi. Fino a strapparmi le pupille. E a farne zucchero. Sembra neve. Ma non è fredda. E' neve calda. Come la saliva del mare. E ti adagi sul mio mento. Mi coli come marmellata di passione. Poi risali. Impaziente. E io taccio. Non so dire le cose che penso. Proprio tutte non ci riesco. Un pò ne scrivo. E' facile graffiare fogli. E soffiarteli addosso. Come piccoli aeroplani. Carichi e traballanti. E ti arrivano sul collo. Come se avessero baciato le nuvole. Io non so scandire parole. Non riesco a pronunciarle. Non quelle che vorrei e che ho dentro. Mi limito ad osservare. E quelle che pronuncio sono diverse. Parole diverse dalla fontana viola che mi zampilla dentro. E non smette. E i miei pensieri restano incastrati. In una forma equivoca e complessa. Come farfalle zebrate. E si vergognano di dover attraversare il loro pratosavanaforestadierba. Sono destinate a sentirsi fuori posto. Non diverse. Perchè hanno imparato che la diversità rende bellissimi. E forti. Ma nessuno lo sa. Nè deve saperlo. Perchè non comprendendoti ti rendono migliore.
Le mie parole le sto pensando tutte.
Una per una.
Nelle orecchie del tuo cuore.
Imbuti lenti.
E solo quella giusta arriva in fondo.
O forse in cima.
Capovolgendo le cose il mondo resta lo stesso.
Strappami le parole.
Dalla bocca.
Ma fai piano.
E poi strappamele ancora.
Inventami il cuore.
Posalo dove vuoi tu.
E strappale in quel punto.
E mentre io dormivo, hai disegnato una incauta primavera sulla mia schiena.
E il ramo di ciliegio furioso ha lacrimato.
L'amore è il tabernacolo della indecenza.
Dove tutto può.

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