Un tempo la distanza tra sè e gli altri era fatta di silenzio. Sassolini bianchi e levigati. Con piccole vene. Lunghe e contorte file di sassi. E avevano la traccia amorosa del mare nelle strisce quasi impercettibili che li attraversavano. Una catena ideale per attestare che un tempo lontano anche loro ci erano stati. Erano passati da quel punto. Una promessa. Un tatuaggio. Un minuscolo giuramento nella pietra. E dimenticare sarebbe stato difficile. Forse impossibile. Era nel solco sulla sabbia il varco. Adesso la distanza tra lei e gli altri si è riempita di parole. Buche ricolme di parole. Fontane immonde. Così tante parole da varcare il bordo e aiutare a perdersi. A non ritrovare alcun segno. Alcuna traccia reale. Perchè tante parole avrebbero diluito il senso. E la sua voce intensa. E quando donava parole sapeva che era promessa di addio. Lei sapeva amare solo con il silenzio. Perchè in quel silenzio galleggiavo gli immensi spasmi che sapeva trappare alla sua recondità intimità. Nel labirinto della donna che la abitava. Il suo corpo era solo la ragnatela che rivestiva il suo nido. Era il solo mezzo per impedire a tutti ad arrivarci. Dove deponeva il suo tormento. In attesa della primavera. Le serviva a non provare freddo o forse solo a trattenere per un istante in più la linea goffa del calore. Quando la ritrovava. Prima di lasciarla andare via. Ancora e sempre. E allora quella ragnatela diveniva ardita seta.
E il baco del peccato scivolava e si dipanava nella sua mente.
Mai mescolare sacro e profano.
Credo che sia blasfemo mortificare il divino che è in noi.
Meravigliosamente imperfetto.
Nessun nido potrà contenerlo.
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