venerdì 3 agosto 2012


In momenti come questi, nulla di tragico, solo un momento casuale di riflessione asciutta e di assenza desiderata, bramata, mi pento di non essere riuscita, nel tempo, a trattenere esattamente quelle cose che mi ero appuntata alla testa, o su di là, da quelle parti. Come se fossi un imbuto, una donna imbuto, e gocciolo oblio e distrazioni. Da un certo punto in poi la mia vita è diventata una collana di distrazioni, perle che scorrevano sul filo, l'una dietro l'altra. E tintinnavano un pochetto all'impatto, con una assestazione precaria. Mi era ripetuta spesso, che avrei assolutamente dovuto ricordare quella cosa, quel nome, quel titolo di film, quella marca di calze, di shampoo o di biscotti. E invece, adesso sento solo, al posto di quel nodo, di quel fazzoletto invisibile, che c'era qualcosa che avrei dovuto ricordare, qualcosa che era così importante ed indifferibile ed irrinunciabile. Al punto di non aver lasciato traccia. "E' un pò distratta". E il volto di mio padre diventava i suoi occhi blu come due spilli; in fondo quella maestra, la mia, non si era resa conto dell'incredibile disastro che aveva creato alla mia giovane e pseudospensierata giovinezza. Se gli avesse detto che avevo sgozzato un compagno di scuola, non sarebbe stato altrettanto grave. Il rendimento era l'unico parametro della mia modesta ed acerba vita. E tutte le rassicurazioni successive non giovarono al mio destino ed alla punizione che ne sarebbe venuta. E neanche quella ricordo. Nulla di rilevante, niente di che al cospetto dello sguardo inceneritore di mio padre. La mia memoria è un colabrodo. Trattiene poco e male. E chi lo sa cosa sia davvero utile. Quale sia la misura della probabile utilità. Non mi importa essere efficace nel dire, nè di dire. Ma di non aver non detto. Una specie di vizio, era così sin da piccola, con i miei slanci in un patto di lealtà con il mio cervello, il morbido ed indisponente piatto da portata, di cui sopra. Forse per quello condisco sempre tutto con il prezzemolo. Ecco io sono in quel tocco, anche se sbagliato, eccessivo. Non mi è mai importato essere cinica, perchè sento il cinismo irritante quasi quanto la supponenza. Ed è per me solo una forma spietata di moralismo. Ci ho provato a comprenderlo, mi sono ritirata, irrigidita, infilata nelle mie ossa, ma poi ho ripreso a scorrere, ad accatastarmi in onde. E ho compreso che non voglio stare senza l'irruzione e l'entusiasmo e la confusione della bellezza, perchè la bellezza è ovunque. E forse dovremmo esercitarci a cercarla, a stanarla. Non ha bisogno di tortuose e fittizie ostentazioni. Ma di occhi senza pretese, con la sola voglia di essere riempiti. Perchè è quella la misura reale, di una oscillazione irreale, non permetterci mai di avere occhi pieni zeppi. E vi dirò, francamente, che spesso mi è capitato, e mi ha fatto persino rabbia, di restare delusa. Non parlo di sconvolgimenti emotivi esistenziali, o di tormenti o di lacrime versate o di devastanti episodi. No, parlo del semplice fluire della vita. Del rispetto e del pensiero. Di una pila di mattoncini. Perchè forse gli occhi sono solo un tramite. E il ricordo è solo un segno. Forse il corpo ne conosce altri. Io mi sono abituata a non dedicare pensieri a quella delusione. Ma di innalzarla al cielo come una lanterna nel buio. Perchè il pericolo nella vita è in alto, non in basso.
 Poi con il tempo ho capito che la memoria è la casa,
è l'immagine più vivida della nostra perfezione.

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