venerdì 3 agosto 2012


Nel buio ho imparato a riguardare i colori. Poco per volta. E' stato come ritrovarli nel posto in cui li avevo lasciati cadere. Goccia per goccia. Chissà perchè tutto ciò che è drammatico ha una intensità liquida. Lacrime, sangue, umori, saliva. L'umanità è quasi costretta ad essere più intensa, quando è bagnata. C'è nel colore una sincerità incontrollabile, quasi spaventosa nella sua ingombrante ingenuità. Non ha regole. E si dona. Un tempo, non so più quante vite fa, ero avvezza a rotolarmi nel colore, e non mi risparmiavo. Affondavo gli occhi nel mare, come in una tela, e ne bevevo tutto le sfumature, ogni tono. A volte lo comunicavo, altre lo tenevo per me. E mi piaceva. Perchè ne percepivo le variazioni. Quasi con la presunzione, a mia volta, di essere fatta di mare. E succedeva anche per i prati, per il cielo, per i fiori. Per caso, poi, rinvenni, delle riviste d'arte, nella libreria di mio padre. E iniziai il mio viaggio alla ricerca di quella bellezza, nuova e portentosa. Era la possibilità di duplicare il mondo, e poi ancora, e renderlo infinito. Ecco, era esattamente il dono dei propri occhi agli altri. E io forse ancora non me ne rendevo conto. E mi perdevo tra quelle figure, ne percepivo la magnificenza, lo splendore del saper riprodurre la vita. Ero una bambina, con il suo mondo segreto, e all'improvviso diventava di polvere e silenzio e di libri. L'estate era questo, era la tensione della conoscenza, e i suoi brividi portentosi, mentre ti sentivi protesa in quell'universo dilatato in cui ti sentivi meravigliosamente incompiuta.
E mi sembrava di poterlo esplorare tutto il mondo.
E che non mi sarei mai e poi mai stancata.
Non lo dicevo, ma lo speravo, dentro.
La vita poi ti distrae.
Ha questa orribile pretesa.
Ma poi ricapita e ti risenti così. 
Proprio così.
Come se fosse estate, anche se nevica.
Con l'odore di quei pomeriggi rassicuranti e pieni di sogni, sotto le vene.

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