venerdì 3 agosto 2012


Mi piacerebbe essere corteggiata dal vento. Vorrei che entrasse nella mia testa, intendo proprio nella scatola cranica. Trovasse un foro e cominciasse a soffiare. E mescolasse la mia mente, come una zuppa. Annullasse ogni volontà e ogni resistenza. Ed essere delicatamente, moderatamente, lentamente, sedotta. Come una foglia dalla rugiada. Come un fiore dal sole. La riva da un'onda. In fondo è la natura che ci ha insegnato l'amore. Un tempo ero fuoco, un fuoco quasi pacchiaco ed invadente, fragile e sincero, e non osavo, io ardevo e masticavo sogni di fuoco. Mi piaceva sentirmi ardere. E farlo sentire. Mi sono scoperta più donna di quello che credessi. Un tempo, quel tempo, esattamente quello, che è scivolato sotto la porta, come una lettera mai spedita, spersa tra spiragli. Come se fossi rimasta incastrata in quelle lettere. O erano troppo? Una overdose di intenti. Oggi, ho questo presente dalle mille forme e da nessuna. E vorrei, per una volta, solo gocce sincere. Una pioggia buona e vera. Qualunque cosa fosse, ed era, sì che era, adesso è stato. Ed è affondato. Io sono la scatola in cui quel passato, così vicino e dolce, e caro, è precipitato, mentre la vita spinge, perchè non concede tregue. Ed è stato vano trattenere, con le dita dentro il mondo, a rovistare radici per non sopportare l'abbandono, la separazione, il distacco. Tanto da sentire la linfa al posto del sangue e della dignità. O forse non vano, ma solo passato. Adesso avrei paura a toccare anche una piuma. Come se le mie dita avessero perso il tocco. E avvicinarmi a quel vetro non è mai stato così difficile. Disegnarci la casetta, con il comignolo e tanto fumo. Troppo, in proporzione.
E io ho una voglia immensa di pane.
Del suo profumo all'uscita da scuola. 
Di quando tutto era semplice e così pieno di sole.
E mi costringo a sembrare peggiore di quella che sono.
E non è il massimo.
Perchè ho imparato il dono della clemenza con me stessa.
E non ho mai smesso di guardare la vita, occhi negli occhi.
E tutto questo è munifico, egocentrico e sentito guizzo.
Nella mia pozza.
Mentre graffio vertigini.
Affondo.
Nella mia pozza.
La gente non ricorda le sue radici e la loro fame.
Perchè per essere arrabbiati ci vuole una vera fame.
Io le detesto le mie visioni invisibili, le ignoro, gli volto le spalle.
Sono sempre vere.
La verità è in noi, prima di tutto il resto.

Nessun commento:

Posta un commento