venerdì 3 agosto 2012


Nel gioco delle sovrapposizioni, io non sono qui. Destinazione inferno, con un solo tasto. Ed il mio dito affonda nella decisione, che forse è una idea. O solo un sogno. Nel gioco delle dimensioni, la mia è quella più semplice. Io amo la semplicità. Per quello non smetto di credere nel mondo. Deve essere tutto più semplice di quanto crediamo. Avverto il bagliore acido di una pelle al contrario. Su cui la luna ha lasciato la sua polvere. Qualcuno mi ha raccontato delle favole ed innavvertitamente ha lasciato la porte della mia mente spalancata. Così di notte vago tra castelli e monti, a caccia della scarpetta, o solo di una capra. O dei frammenti. Della sequenza di una storia che non coincide. Come quando le due metà della mela non si ritrovano. Il verme ha divorato un lato, lo ha levigato, e adesso è una metà che deve fare della sua forma bislcca un'unità. Ho camminato a caccia della bellezza, muta e silente, ne assaporavo il richiamo. A me succede così, di gioire immensamente e poi di immensamente soffrire, colpa della mia pelle inversa. Della voglia di fiducia, di distendermi sotto le stelle e lasciami chiamare dal vento. Non chiamatela sensibilità. Non ha nessun nome, forse quello di errore. Ma è brutto da pronunciare, gratta il palato. E sento nelle lettere il disappunto che la vita mi ha insegnato ad annusare, per scansarlo, per evitarlo, per modellarlo. Perchè, ad un certo punto della storia, non saprei dire quale, vivere è diventata una gara contro lo specchio. E quel bisogno, come un alito sul collo che mi diceva di guardarmi e non sbagliare. E forse allora scelsi di essere migliore e tra vivere ed amare scelsi l'amore. Un amore da leccare, ovunque fosse capitato. Per sentirne il brivido del distacco e chiudere gli occhi. 
E' bellissimo saperli tenere chiusi, anche quando sai che non dovresti.
Fino ad urtare con la luce.
E dentro quello specchio, io non mento, non posso.
Non so farlo.
Dovrei spiegare ma gli altri sanno guardare solo con i loro occhi.
Ma non sanno prestarli.
Per quello si limitano a giudicare.
Ed io annaspo nella mia egocentrica astensione.
Le vite degli altri sono fatte di cose, di una molteplicità di oggetti. Di una proteiforme moltitudine che gli giace dentro. Come se fossero sacchetti. Spesso sigillati a mano. Anche il corpo è una cosa. La cosa tra le cose, fatta di una devastante e maestosa fisicità in cui qualcuno, forse il dio albero, o il fumine primogenio, ha annegato, o solo tentato, quella voce che ci ostiniamo a chiamare  l'anima e che non smette di parlarci, con i suoi fremiti, i suoi slanci, il suo distendersi e la sua voglia di invadere, coprire, cambiare. Povera colomba immemore, invisibile vessillo, nella palude del corpo al contrario, nei suoi meandri, dentro, chissà dove, come dentro una prigione di carne, o su un altare. Come se il mezzo fosse il suo assordante limite. E lo strumento si facesse intralcio, slancio o ponte. Il corpo è la voce della mente. Il suo disegno di sangue e aria.
Vorrei spiegarvi.
Spiegarvi lentamente.
Con la stessa lentezza che sa dosare la forza.
Questa volta senza perdere neanche un frammento.
Senza schegge e senza croci.
Senza saltare neanche un passaggio.
Senza perdermi nei preamboli.
Senza tutti questi senza.
La misura della mancanza di libertà.
Con il pensiero più liscio di un nastro.
Ma mi sembra di non esserne più capace.
Mi sono persa al confine tra dolore ed egoismo.
L'estate è fuori da questa finestra
e ha strascichi e segni anche sulla mia pelle.
La mia caviglia e le sue storte.
Ma io non riesco a fermarla.
Troppi eventi.
E troppo poco me, dentro di essi.
Non ho infilzato neanche un istante.
Spettatrice di tanta vita, rifuggo le sue spire assordanti
e mi accantuccio.
Perchè voglio bere silenzio.
Perchè passerà.
Perchè è così che deve essere.
Lo so.
E cerco di non dimenticare nulla.
Prima di chiudere la porta.
Neanche tre chicchi di tormento.
Da sciogliere sotto la lingua.
Ed il mio nome stretto intorno al polso.
Come un palloncino.
A voi lo hanno mai stretto forte forte?
Avete mai sognato di volare con lui?
E che una volta l'ordine delle cose si capovolgesse?
C'è un limite a tutto e, quando lo si raggiunge,
si diventa nuovi.
E' un modo per andare via senza essere mai tornati.
Mi piace pensarlo.
E un pò anche dirvelo.
Con un filo di voce.

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