giovedì 17 dicembre 2009

Diventai crudele. Bastò la corteccia di un albero. A strofinarmi la schiena. E il tuo corpo contro. Ero tra te e l'albero. Senza calcolare la distanza. E non respiravo. Per la paura e il desiderio. E non li distinguevo. Le luci delle macchine lontane mi ricoprivano le palpebre serrate. Compresse sui miei sogni. E mi ritrovai a tremarti addosso. Senza capire che era tutto diverso. Anche le pupille che mi avevi sputato dentro gli occhi. C'era qualcosa di te che non mi sarebbe mai appartenuto. Quella luce, per esempio.
A volte li rivedo i tuoi occhi.
Hanno il rumore del mare.
Incorniciati nell'abbaiare di un cane.
Diventai crudele e allora compresi.
Mentre la rabbia mi segò le vene.
Il "per sempre" dei miei sogni era stato ingoiato dalla tua bocca.
La mano tra i capelli.
E la tua presa maschia e ruvida lasciarono una scia.
E mi rotolò al centro della guancia.
Camuffata da lacrima.
Tu le baciavi le mie lacrime.
Mi bevevi e sorridevi.
E io tornavo crudele.
E mi raccontavo sempre la stessa storia.
Per addormentarmi.
Il latte sul comodino.
E la zanzara sotto il ginocchio.
L'odore del mare cancellava tutto.
E mi ritrovo a volte con un fardello di rabbia.
Sconosciuta.
Macchia.
E mi lascia senza forze.
Mi sbatte dentro un pozzo.
Vedo il mondo attraverso la sua bocca.
E sento con la sua pancia.
E a volte l'odore del mare non basta.
No.
Non basta.
E' che la nostra memoria si agita in un mare di sensi.
Ed ogni senso ha la sua memoria.

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