martedì 25 agosto 2015

 

Luna livida

       
Mi possedevi con tutta la indolenza di cui eri capace. E mi lasciavo cullare dalla dolcezza precaria della indecenza mentre mi percorrevi, senza sporgerti oltre la voragine delle mie pupille, non abbastanza, non  quanto io volessi ferocemente e non ti chiedevo. Non chiedo mai, ed è così che separo pula e grano, e vado avanti. Se ti fossi affacciato, sull'orlo della mia devastazione, vi avresti scorto tutta la paura di cui eri capace, tu, proprio tu, ma non riuscivi ad ammettere. Io la sentivo, la trattenevo, come un nastro e ne seguivo le contorsioni; le annodavo alle dita, la strisciavo sulla bocca, e sul collo. Qualche gemito come una stella spuria e mi raggomitolavo, senza tremare, più placida di Ophelia che si lascia navigare, nella tormenta dei miei pensieri. Una ninfea, una donna ninfea, che si lascia lisciare dalla luna. E mi piaceva restare così, inaccessibile, calata a fondo nello stagno fervido e pregno di me stessa. Perchè la tenerezza era la mia perversione, e io non sapevo resistervi. E forse neanche tu, ma non lo sapevi. E io non te lo avrei detto. 
Io mi nascondevo, per essere stanata, come un segreto.
Come ogni donna vorrebbe.
Per essere impalata ad ogni alba dalla realtà che non smette di masticarci i sogni.
E nei miei segni, la traccia, la mia memoria, sospesa tra mente e pelle.
Come una luna livida, anzi di più.
Ribaltata nella vita. 
Così mi alterno, tra bene e male, senza mai scegliere, offrendo loro la linea delle mie vene.
Come un'arpa di carne e fiato.
Inseguimi, fino al confine estremo di me. 
Io sono.

Nessun commento:

Posta un commento