martedì 25 agosto 2015

E avvicinarsi pericolosamente all'errore.
Fino a provare l'emozione di sfiorarlo.
Come un pavido incompiuto.
E poi convincersi che è tutto sbagliato.
Morbida suggestione.
Perché la misura del bene è sempre inesatta.
E poi oscillando si perde la direzione.
Adesso, ad occhi chiusi,
nascosta dentro me stessa,
ascolto il mondo.
E la sua scia.
Eppure avrei un disperato bisogno di una favola nuova.
Sangue e cielo.
Detesto la parola bisogno.
Disegna tutta la incapacità.
E il limite.
Mentre
mi
affascina
perdutamente
la
forza
del
sogno.
E si sbriciola la differenza tra sognare ed osare.
Io e la mia mente ci apparteniamo.

                 
 

     

Scomposta.
E la mente in quale cielo?
Forse un rettangolo dimenticato.
 E i piedi nelle nuvole, a prendere a calci le stelle.
Sara, non vi è dolcezza nella tristezza.
La tristezza è triste e basta.
Condannata nella sua dimensione.
Nel suo bordo stretto e livido.
E non gocciola seduzione.
Come ti piacerebbe, piccolina.
Strisciarla, cruda, sulle labbra.
Fino a farle sanguinare.

In fondo ai tuoi occhi io scorgo un frammento segreto di te.
Come una conchiglia smarrita.
Hai l'anima che profuma di mare.
Così ti piace pensare.
Ma a volte è solo un inganno.
Una malia.
Come se quel frammento non ti appartenesse.
O forse non c'era.
Ed è così triste avere il bisogno di ritrovarsi negli occhi degli altri.

 

 
             
 
 

      

E mentre ti confessavo il mio peccato, lo dimenticavo.
E mi sentivo assolta.
Perchè esiste una strana innocenza.
Quella immemore.
E mi voltavo e mi ritrovavo nuova.
Come adesso.

"...Lascia che il buio si faccia strada.

E' la lanterna che ti conduce a me.

Lega i nostri polsi in un nodo.

E' il buio che segna la mia carne.

La scava di desiderio e la cosparge di brividi e di attesa.

Lascia che il desiderio disegni e segni il mio sentiero.

Come inchiostro invisibile.

Svelato solo ai tuoi occhi.

Nasconditi dentro di me.

Come il seme si nasconde nella terra.

Voglia essere la tana del tuo cuore.

E la culla del tuo respiro.

E piovimi tutto l'amore di cui sei capace.

Contro la zolla della realtà.

Dentro i fiumi scavati dal mio desiderio di te.

Spalancami l'anima.

E battimi nel cuore.

Fino alla fine di me.

Sulla mia pelle languono i segni del tuo nome.

Inciso sulla carne e baciato dall'intreccio del nostro sangue.

Se lo fa tremare dentro.

Fino alle ossa.

Prenditi tutto.

Perché io sono tua.

Ti dono la mia aria.

Altro non ho.

Rifugiati nei miei meandri.

Oltre il cancello.

Spalanca la mia paura.

E frantumala.

E poi spargila nel vento.

Come polline fecondo..."
(estratta dalla sacca del tempo)
 

 
                 
 
 

      

E
poi
descrivermi
nel modo
peggiore
possibile
mi rende
libera
dall'ossessione
della perfezione.
Un brivido, una vertigine, una fitta,
un punto che pulsa alla rinfusa
e io la sua eco
e nuovo dolore
per rimuovere
il solco ancora fresco
di quello
or ora levigato.
Vorrei descrivertelo...
è un'onda nera
che non copre
ma graffia.
Feroce come un morso.
E i suoi segni, nella mente.
Nessuna mente divorerà ancora la verginità della mia bocca.
E le sue promesse infrante.
 

 
 

Forse una goccia.

O altrimenti l'immenso.
Nella luce mi nascondo l'anima e, senza sbavature, la preservo.
Perciò, la mia casa è il buio.
E non resisto alla armonia scomposta della indecenza.
Quasi fosse un sussuro eterno.

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