martedì 25 agosto 2015

Luna loquace
E parla, parla, parla. Ci vuole un gran pudore per stringere a sè la poesia. In quel momento tutto trema e quasi sembra goffo. E mentre parla, ascolta la sua voce. Come se fosse una eco. Una scia della sua memoria. Gocce del suo sangue. Dei suoi umori più segreti. Soffio di luna che accarezza le stelle.
Spaventa la tenerezza, più della crudeltà, perchè è una suprema forma di tormento. 
Delicato e struggente.
Tu ricordi?
"C'era una volta...".
Ho sempre amato le fiabe. Mio padre ne raccontava di bellissime. Le inventava per me e sembrava estrarle da una memoria antica, come se fossero riemerse dal ventre della terra; lui mi vedeva come la sua principessa. Ed i miei sogni scintillavano nei suoi occhi azzurri, chiari e trasparenti, come il mare quando è tranquillo. Le sue parole ebbre del profumo di salsedine mi cullavano, fino a farmi scivolare nei miei sogni di bambina.  Le dita attorcigliate alle sue. In seguito in quegli occhi vi avrei scorto tempesta e vento, e poi pioggia devastante, fino all'impotenza, più dura, e vi sarebbe aleggiata l'oscurità che solo la vita sa infliggere e lo fa con i più coraggiosi, quelli che sono quasi degli eroi, senza macchiare mai quell'azzurro limpido e terso, da sembrare proprio lo specchio del cielo. Quante volte mi sono rifugiata nelle sue confidenze, fino a raggiungere il suo cuore, il cuore di un padre, capace di diventare immenso. E capire, oltre ogni convenzione, ogni regola, ogni ruolo. A volte penso che conoscesse perfettamente la mia inquietudine, mentre mi ripeteva che la vita è bella e che è bella fino in fondo. E adesso tutto questo non c'è più; così sembra, a volte. Ma non è vero. Io lo so che lui c'è. E guardarmi nel ricordo dei suoi occhi, mi aiuta a sentirli un poco miei, ed a sentirmi meno sbagliata, anche quando lo sono per davvero.

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