domenica 24 gennaio 2010

Nel gioco degli specchi la figura è spinta sempre più a fondo. Perchè cercarsi a volte è una buona scusa per non trovarsi. Come se avessimo il timore di riconoscerci nell'unico pezzo che riusciamo ad incastrare. Ad abbordare. Come se fosse una mignotta all'angolo. E ammiccasse ai nostri fischi. Senza sapere se è puro apprezzamento. O solo disgusto. O la rassicurazione di essere diversi. Nella casa di una vita assolutamente normale. E ce ne sono altri. Infiniti noi che vivono tra pelle e testa. Sante e puttane che si aggirano sulla mia gola. O solo socialmente compatibili. Nè ballerine nè devote. Sanno fare ilsugo. Se gli capita. E a volte crediamo di dare tanto e troppo. Come se comunicare fosse facile come respirare. E ti respiro la mia verità. Ma tu vedi solo il vapore del mio alito sul vetro. E tutto il resto sale. E cade. Colpa di istanti. Un gioco di prestigio. Con le emozioni giuste che escono dalla scia della donna cannone. La coda dei sogni. Una cometa peccaminosa. Strano artificio le parole. Incastrano le cose nelle lettere. Danno la voce a pezzi di cose. Forse quella sbagliata. E i pensieri diventano cose delle cose. E fatti di cose. E smettono di popolarci angoli nascosti. E cessano di essere nostri. Non è che cambiamo. Solo dopo averli secreti siamo più leggeri. Ed altri. Le parole sono le ali dei nostri pensieri. Ali che li uccidono. Perchè li staccano da noi. E diventano l'altro che tanto ci fa fremere. E il piccolo dio che è in ognuno di noi riprende a sorridere. E' un contadino che ci ara e ci semina dentro. E noi siamo i campi di noi stessi. Con la costante che il frutto è stato portato via. Perchè è così che deve essere. E perchè dire è un pò essere. Ed essere è comunque amore. Come se l'autenticità fosse il dono del divenire. E nella astrazione mi perdo. Ma sento l'odore del bucato. Il sole è in ritardo. Ma arriverà.
Che poi è la differenza tra parlarsi o parolarsi addosso.

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