E io non potrei. E non posso. Ma se poi voglio. E poi sento. Forse voglio. E mi pento. Mi capita di attendere. E decidere. E morbidamente cambiare idea. Modellando il ripensamento. E' creta. Ma le sue forme sono orride. Come solo l'autenticità può sembrare. A chi lecca la saggezza. Come se fosse una caramella proibita. O mi capita di devastare un proposito. E' incoerenza questa brodaglia indegna che cucino. E mescolo e rimescolo. Densa ed autogestita. Mentre affetto incomprensione. Fette irregolari ed imprecisi. Con la forma di una pretesa. Ma l'odore del pane. L'intreccio tra sensi e anima. Non è forse l'amore il morso feroce e secco al proprio destino? Con tutta la forza che abbiamo in corpo. Forse è la misura del più lurido dei domani. E' un forse di cartone. Ricamato e composto. Con le lettere uguali. Equidistanti. Perchè non vi sia significato nella differenza. Sa di sandalo. E me lo trovo strisciato sui miei fianchi. Come se fossero prati da ricostruire. Mentre sono sono valli di solitudine. Ti viene quasi voglia di bruciare il grano che vi spunta. E osservare l'incendio. Dilatare le margherite. Ed i papaveri. E poi amputarli. Perchè distruggere significa staccare un istante in cui tutto diventa per sempre. Prima di voltarsi.
Un giorno ho bruciato la tua idea.
Una collana.
Idee come abbracci.
E dopo quella tante altre.
Ma nessun fuoco è stato così doloroso.
Come quello.
Inzuppato di follia.
Quasi disperazione.
Con il fumo che mi corrodeva gli occhi.
E lacrime e parole erano lo stesso.
Rotolavano addosso.
Come bava.
O come fame.
Un vestito troppo leggero.
Per coprirmi da tutto il freddo che sentivo.
Lo chiamavano velo della colpa.
Io l'ho chiamato domani.
E poi ancora domani.
E poi ancora e ancora domani.
Perchè non avevo altri nomi da dargli.
Ma solo la voglia di arcuarlo.
E di piegarmi a forma di domanda.
E mi trapassavano e pungevano tanti di quei domani.
Così tanti da accumulare una foresta fatta di passato.
Di alberi senza tronco.
Sto ancora cospargendomi le labbra di cenere.
Di quella cenere chiamata verità.
E poi è quello che resta.
Resta e non vorrebbe.
Perchè il posto della verità è altrove.
Ti è mai capitato di pensarmi impudica?
E di vedermi impudicamente assorta
a tagliare le vene all'angelo che mi solca le viscere?
Ho bevuto umiliazione strisciando fino alla sua ciotola.
Già.
E adesso taci.
E che il suo tacere sia per sempre.
RispondiEliminaBellissime parole.
Ondate di distruzione, ma impregnate di Materia, Elementi, tangibilità. Cibo, fuoco, vegetazione, sete.
RispondiEliminaNessuna chiave di lettura, semplici considerazioni. Ci si piega a forma di domanda per somigliare a risposte già date, a volte.