giovedì 21 gennaio 2010

E io non potrei. E non posso. Ma se poi voglio. E poi sento. Forse voglio. E mi pento. Mi capita di attendere. E decidere. E morbidamente cambiare idea. Modellando il ripensamento. E' creta. Ma le sue forme sono orride. Come solo l'autenticità può sembrare. A chi lecca la saggezza. Come se fosse una caramella proibita. O mi capita di devastare un proposito. E' incoerenza questa brodaglia indegna che cucino. E mescolo e rimescolo. Densa ed autogestita. Mentre affetto incomprensione. Fette irregolari ed imprecisi. Con la forma di una pretesa. Ma l'odore del pane. L'intreccio tra sensi e anima. Non è forse l'amore il morso feroce e secco al proprio destino? Con tutta la forza che abbiamo in corpo. Forse è la misura del più lurido dei domani. E' un forse di cartone. Ricamato e composto. Con le lettere uguali. Equidistanti. Perchè non vi sia significato nella differenza. Sa di sandalo. E me lo trovo strisciato sui miei fianchi. Come se fossero prati da ricostruire. Mentre sono sono valli di solitudine. Ti viene quasi voglia di bruciare il grano che vi spunta. E osservare l'incendio. Dilatare le margherite. Ed i papaveri. E poi amputarli. Perchè distruggere significa staccare un istante in cui tutto diventa per sempre. Prima di voltarsi.
Un giorno ho bruciato la tua idea.
Una collana.
Idee come abbracci.
E dopo quella tante altre.
Ma nessun fuoco è stato così doloroso.
Come quello.
Inzuppato di follia.
Quasi disperazione.
Con il fumo che mi corrodeva gli occhi.
E lacrime e parole erano lo stesso.
Rotolavano addosso.
Come bava.
O come fame.
Un vestito troppo leggero.
Per coprirmi da tutto il freddo che sentivo.
Lo chiamavano velo della colpa.
Io l'ho chiamato domani.
E poi ancora domani.
E poi ancora e ancora domani.
Perchè non avevo altri nomi da dargli.
Ma solo la voglia di arcuarlo.
E di piegarmi a forma di domanda.
E mi trapassavano e pungevano tanti di quei domani.
Così tanti da accumulare una foresta fatta di passato.
Di alberi senza tronco.
Sto ancora cospargendomi le labbra di cenere.
Di quella cenere chiamata verità.
E poi è quello che resta.
Resta e non vorrebbe.
Perchè il posto della verità è altrove.
Ti è mai capitato di pensarmi impudica?
E di vedermi impudicamente assorta
a tagliare le vene all'angelo che mi solca le viscere?
Ho bevuto umiliazione strisciando fino alla sua ciotola.
Già.
E adesso taci.

2 commenti:

  1. E che il suo tacere sia per sempre.
    Bellissime parole.

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  2. Ondate di distruzione, ma impregnate di Materia, Elementi, tangibilità. Cibo, fuoco, vegetazione, sete.
    Nessuna chiave di lettura, semplici considerazioni. Ci si piega a forma di domanda per somigliare a risposte già date, a volte.

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