venerdì 15 gennaio 2010

Su una finestra ho scritto una storia fatta di alito. E di occhi. Occhi strisciati. Per vedere senza vedere. Come piace a me. Per poter immaginare. E disegnare con la mente. E senza confini. E rubare il senso più vago delle cose. Occhi che appaiono e scompaiono. "Indovina chi sono". Riconoscersi è facilissimo. Vorrei mi riconoscessi dal mio sorriso. Con la paura di voltarsi. E infilzarsi nel tempo. Perchè magari si è altri. Una volta è successo. Occhi che emergono da occhi. Come se le pupille fossero pianeti distanti. Annegati e riemersi. Lontani. E la lontananza è la misura inversa dell'amore. Nella geografia dell'anima. Una specie di caccia al tesoro. E il tesoro non c'è. E non passano dalla mente. E dalla dignità. Il cuore ha mille orecchie. Percepisce ogni fruscio. Ogni variazione. Una minima deviazione. E la storia fatta di alito scompare. O diventa carne. "Indovina chi sono". Io non lo so chi sei. E non so neanche chi sono io. E neanche mi importa. Ho perso tutti i pezzi. Ma non posso dirlo. Mi perdo nella mia tazza lilla ogni mattina. E riaffioro al tramonto. Non ho più stelle da sciorinare nel cielo. Potrei solo raccontare il loro ricordo. Disegnarle con le dita contro il vetro. Ma nei miei ricordi non hanno più colori. Sono stelle senza pelle. Hanno una voce flebile che ho rinchiuso in un barattolo.
Per annusarla poco.
Se capita.

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