giovedì 28 gennaio 2010

Voce spremuta dalle mie tempie. Sembra un ricordo. Pulsano i numeri. Conto. E riconto. E non so cosa conti davvero. Nella seguenza di tintinnii maldestri. La voce si insinua. Come il soffio di una margherita. Geme e si nasconde. O il sibilo di un serpente. Un millepiedi si affanna sul cemento. E sogna fango e terra. Ed è già mattina. L'attimo in cui mi distacco dal mio ramo. E ricomincio a cucirmi le ali. La voce sa di sole. Accarezza i pensieri. Non riesce più a farsi male. Non ricorda di averne fatto. Di aver masticato parole. Ha deciso di amarsi. Ma è una mezza verità. Di quelle bisbigliate al risveglio. Con la voglia di caffè. Con il suo odore di portentoso mistero. Un filo di erba come segnalibro. Del sogno interrotto. E il cuscino ha l'odore di radici. Quello sognato e tanto pensato. Per riuscire a stare bene. E delle carezze di mia madre. Poche. Ma sincere. E la voglia di usare i suoi vestiti. E le scarpe con il tacco. Niente a che vedere con le mie. Ma sembravano scale dove fare ondeggiare i sogni. E il suo rossetto. Per immerggerci le labbra. E stampare baci sullo specchio. Come se fosse marmellata di ciliege. E una promessa reciproca. Guardo tra gli scaffali. I raggi schizzano polvere. La contorcono. Ed il pulivoscolo sembra una magia. E giro lo zucchero nella tazza. Troppe e troppe volte. E mi sfondo la mente pigra con una delle mie insostenibili ricette. La fiamma è troppo alta. Ma è così che mi piace. Con il canto furente dell'olio. Nel tegame. Mi fa credere che tutto andrà bene. Ha un odore. E una voce. E questo basta per rassicurarmi. Una vecchia fiamma dilata la ombra. Attraversa carne. E strati di pensieri. Impastati. Senza ordine. Senza regole. Dilatati e prosciugati. Annusa la loro voce. E la striscia. E quello che resta è ombra tremula. E cenere. Quello che resta di ciò che non riprende a scorrere. Con la forza di continuare. Io non riesco a negarmi il sangue. E quel puntino che nonostante tutto c'è. Solo che gli impedisco di parlarmi. E resto ombra dell'ombra. Il guizzo diabolico mi morde la pancia. Ma è solo un istante. Tutto tace.
Come se quel muro fosse un giardino.
Di fiori muti.
Siamo contenitori infetti di sogni assolutamente puri.

3 commenti:

  1. Back to basics, direbbero da qualche parte. Immersi nei propri corridoi, che hanno sapori e profumi, pieni di suoni e rumori. Una casa che all'esterno appare consumata, ma dentro è sazia, anche se non di sé.

    RispondiElimina
  2. il mostro consiglierebbe di ricucire le ali prima del distacco dal ramo.
    (a) evocazione: il test dell'emoglobina prima della donazione: quella piccola puntura che produce una bollicina di sangue; si rimane lì, imbarazzati, con l'idea di non poter portare istintivamente alla bocca il dito per succhiarlo, come si faceva da piccoli per non "perdere" e "perdersi". il rassegnato sacrificio che possiamo consapevolmente sopportare solo per l'idea malsana di essere ormai divenuti entità "intaccabili", capaci di disinteressarci della flebile pulsazione che segue.

    RispondiElimina
  3. e se fossimo solo contenitori rigenerati puri di sogni infetti?
    a2

    RispondiElimina