sabato 21 febbraio 2009

Chiudi la porta. Ho freddo.

Vado e torno.
E poi rivado.
Immancabilmente ritorno.
Cosa mi lega a cosa?
E ci sono anche se non ci sono.
E non ci sono anche se ci sono.
Spio la mia assenza.
Mi fa orrore.
Urla e mi sorride.
Ogni volta lascio quella porta aperta.
E poi mi fingo meravigliata.
Come se avessi dimenticato l'uscio spalancato.
E traccio il percorso con briciole.
Di margherite.
E della mia pelle.
Le strappo dal mio prato.
Come facevi tu.
E poi lascio scivolare more per terra.
Sembra sangue.
Affinchè possano credere che io stia sanguinando.
Una emoragia di inquietudine.
"Non c'è più nulla da rubare" mi ripeto.
E mi lascio violare.
Scavare.
Ancora.
E sempre.
Il dolore non è in quello che portano via.
Ma nel sentire spostare i cardini.
Nel cigolio di quella porta.
Io sono in quella porta che striscia il pavimento.
In quella soglia calpestata.
Con indifferenza e crudeltà.
Di ladri.
In quel leggerissimo attrito di cui nessuno si cura.
Quella porta si apre sul un prato di margherite
incredibilmente scalze ed affamate.

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