martedì 10 febbraio 2009

Ho sognato di scrivere una lettera.
Sulla mia pelle.
Con caratteri piccoli ed ordinati.
Che proprio non ho.
Ho altro.
Una lettera lunga.
Ma io non so scrivere lettere.
Non l'ho mai fa Sonno liquido
Gocce di sonno.
Si perdono in questa notte.
Fatta di camion che strisciano sull'asfalto.
Sonno stritolato che giace sul pavimento.
Insieme ad una pila di libri mai letti.
Forse neanche mai scritti.
E' un notte senza stelle.
Questa notte.
O forse non ho gli occhi giusti per vederle.
L'inquietudine si incastra sotto il soffitto.
Penzola come un candeliere.
Come delusione impiccata.
E si mescola alle luci.
Del giorno che viene.
E' paura o inquietudine?
O solo certezza muta?
Asfittica coperta l'inquietudine.
Vuol dire tutto e niente.
Gli altri ti osservano con la lente di ingrandimento.
E tu lasci fare.
Provi terrore e piacere a sentirti quegli occhi scorrerti.
Ovunque.
E resti come il letto di un fiume.
In secca.
Arida.
Barattai il mio nome con il vento.
E lo portò via.
Come una sciarpa al collo.
Se lo stringeva trionfante.
Quasi a soffocarsi.
Strappò lettera per lettera.
Impastandola con il vuoto.
Restai senza nome.
Senza accorgermene.
Sola.
Poi mi rivoltai la pelle.
La rigirai.
Senza neanche una carezza.
Senza lisciarla.
Senza degnarla di uno sguardo.
E rinacqui Sara.
Finalmente.
Sara come acqua di fonte.
Sara che dorme sotto la luna.
Sara che si nutre di rugiada e perdono.
Sara che intreccia fili.
Sara davanti ad uno specchio coperto.
Il mio nome è Sara.
Adesso.
E per un tempo.
Che forse è già scorso.
O deve ancora arrivare.
Il mio nome è Sara.
Ma non lo so.
O forse sì.
Non è colpa mia.
Ma se mi chiamate non rispondo.
Sto rovistando in un cassetto.
Per cercare l'aurora.
Finalmente.
La mia piccola aurora è giunta.
Leziosa e deliziosa avanza.
A passi piccoli e composti.
Mi ha strappata dal buio.
Della verità.
"Sara adesso chiudi gli occhi e dormi."
No.
Sara non dorme.
Sembra destinata a restare sveglia.
Per sempre.
"L'aurora di bianco vestita
Già l'uscio dischiude al gran sol;
Di già con le rosee sue dita
Carezza de' fiori lo stuol!
Commosso da un fremito arcano
Intorno il creato già par;
E tu non ti desti, ed invano
Mi sto qui dolente a cantar.

Metti anche tu la veste bianca
E schiudi l'uscio al tuo cantor!
Ove non sei la luce manca;
Ove tu sei nasce l'amor.

Commosso da un fremito arcano
Intorno il creato già par;
E tu non ti desti, ed invano
Mi sto qui dolente a cantar.

Ove non sei la luce manca;
Ove tu sei nasce l'amor. "
Sono solo capce di macchiare i fogli.
Di graffiarli con il mio ego.
Lo lascio scivolare.
Fingendomi di non accorgermene.
E poi vorrei cancellarlo.
Quello e altro.
Quello che sento.
E che non sento.
Strappare ogni traccia.
Finisco sempre per strappare quei fogli.
E pezzi di carne.
Mia.
La mia carne giace tra quei fogli.
In un sacco di rifiuti.
Poi striscio il silenzio su un muro caldo.
Ma candido.
Righe di silenzio.
E mie dita.
Storte e cariche di sbavature.
Detesto il candore.
Risucchia l'autenticità.
Abbaglia e non lascia capire.
Goccia per goccia.
Le sue scie come perle bugiarde al mio collo.
Lo avvolgono e lo graffiano.
Sono nata macchiata.
E va bene così.
Non ho nulla da ostentare.
Non ho nulla.
Nessuna indulgenza.
Nessuno specchio.
Non più.
Me e sempre me.
E puro, purissimo, silenzio.
Quanto sporca il silenzio.
Affonda i suoi tentacoli.
E sporca.
E adesso quel muro pulsa e freme.
Di errori.
E di vita.
Se adesso mi strappassi il cuore e lo tenessi
tra le mani come un passerotto ferito
alitandoci sopra il perdono
sbaglierei ancora.
Sono tutti gli errori commessi.
E che farò.
Ho cercato rifugio mentre dovevo restare nella tormenta.
Non ho avuto coraggio.
Per non bagnarmi.
E non sapevo che solo la pioggia poteva salvarmi.
Avrebbe ripulito un pò.
Nel conforto si celebra la negazione di ogni resistenza.
Nella mia fragilità mi sublimo.
Ma fingo.
Ancora.
O fingo di fingere.
Consegno le mie pupille alla luna.

Lei sa.

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