martedì 10 febbraio 2009

E' difficile pensare al fuoco.
Disegnarlo nella mente.
Nella nostra mente la sua idea c'è.
Attinta da qualche serbatorio nascosto e dimenticato.
Guardarlo.
Ad occhi nudi.
Avvicinarsi.
E' facile parlarne.
Siglare con il finto fuoco le nostre promesse.
Come croci sui polsi.
E nodi al fazzoletto.
Lo si immagina.
Come nelle migliori illustrazioni.
Come nei disegni del focolare.
Sui fogli a quadretti.
Quelle in cui mischiavamo il giallo ed il rosso.
Con i pastelli dalla punta spuntata.
Alla ricerca del temperamatita
con la lama sempre troppo piena di ruggine.

Oggi ho affidato al fuoco la mia volontà.
L'ho distesa al suo cospetto.
Lisciandomi i polpastelli.
Intrecciando le dita in una rete di dita.
Un gioco crudele.
E ho osservato.
Con gli occhi pieni di lacrime
selvagge
e l'odore esasperante ed esasperato sulla pelle.
Aspettando che trasformasse.
In cenere.
Nessuno spirito catartico.
E' raro che dalla distruzione nasca
qualcosa di buono.
Ci sono tracce che nessun fuoco può cancellare.
Solo spingerle più in fondo.
Come solchi.
In cui possiamo limitarci a scorrere.
Ho resistito per attimi
che sembravano eterni.
Ma non lo erano.
L'eternità è solo una proiezione dell'anima.
Artificio per gli ingordi.
Il mutamento scorre nella nostra carne.
Sotto.
Mi sono guardata nello specchio.
Avevo gli occhi ed il viso rossi.
Ed i capelli scompigliati.
Senza nessuna intenzione di ricompormi.
O di subire alcun cambiamento
che non venisse dal mio sangue.
E dai suoi iniqui zampilli.
Nessuno può negarci la dignità.
A nessuno possiamo consentirlo.

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